È la città perfetta per essere se stessi

Sono ore che ci provo, ma non ce la faccio proprio a dormire in questa stanza claustrofobica, nonostante la stanchezza del lungo viaggio. Mi alzo dal letto e ciabatto verso la tapparella della porta finestra che da’ sul balcone con la speranza che un po’ di aria fresca mi possa aiutare a reimpostare la respirazione.

Mi sento in apnea: se rimparo a respirare forse mi calmo. La cinghia della tapparella è umida e piena di polvere. Credo che il proprietario di questo albergo non sia ancora del tutto convinto che ce l’abbiamo fatta a superare l’anno 2000 nonostante le profezie maya e ha preferito lasciare tutto così com’era negli anni 90 pur di non dover sostenere delle, a suo dire, inutili spese di ristrutturazione.
Tanto si sa: prima o poi i Maya hanno ragione.

Faccio un po’ di leva sugli infissi e finalmente sono fuori.

Mi strofino gli occhi alla luce del mattino che è già abbastanza forte e cerco di mettere a fuoco il posto in cui sono stata mandata.

Di fronte a me un vecchio stadio incorniciato da un paio di colonne di epoca remota ed una rotonda con in mezzo tre ulivi e qualche arbusto che mi ricorda di essere nella città dell’olio.

Provo a respirare. Sono le 6.00 del mattino in un posto che non mi appartiene e che sembra non abbia niente da offrimi. Qualcuno se ne frega dell’orario e schiaccia su un clacson fastidioso e su una lingua a me sconosciuta che potrebbe essere proprio quella degli antichi maya che lanciano maledizioni alla generazioni future. Non ce la fa il respiro ad uscire. Mi sento soffocare.

Non riesco ancora a crederci di essere finita qui.
Ma se sei stagista devi accettare di tutto. Anche acconsentire con un finto sorriso sulle labbra di venire a scrivere l’ennesimo servizio gastronomico su un piatto tipico locale.

Ma abbiamo davvero bisogno di sapere una volta di più come si può riutilizzare il pane vecchio?
Non pensavo a questo tipo di scoop quando mi sono iscritta alla scuola di giornalismo.

Odio questa ingiustificata ossessione per il cibo.
Statisticamente i siti più cliccati sono quelli pornografici e quelli gastronomici come se fossimo programmati solo per godere, all’infinito.
Qualcuno avvisi, per favore, re Pakal.

In lontananza, vicino allo stadio c’è anche una chiesa.
Ha un’ inusuale forma circolare. Forse è il momento che anch’io mi riavvicini a Dio. Potrebbe aiutarmi a sopportare meglio certe mie scelte sbagliate. L’appuntamento per l’intervista sul disciplinare del “pancotto” è esattamente fra sei ore.

Non posso stare chiusa qui dentro fino a mezzogiorno. Anche se mi sforzassi di leggere le dispense del mio prossimo esame, l’occhio mi cadrebbe inevitabilmente su quella macchia della moquette bordeaux e pensieri inquietanti comincerebbero a frullare nella mia testa.

Meglio uscire e camminare tra queste strade.
Inutile pretendere la colazione in questo albergo: rischio di trovarmi sul tavolo un tegolino del Mulino Bianco.

Mi do una sciacquata veloce, visto che l’acqua calda tarda ad arrivare, e mi vesto per bene per uscire da questo incubo.

Porto con me taccuino e macchina fotografica perché, per fortuna, rimango ancora inspiegabilmente curiosa.

Mi lascio guidare dal mio istinto e mi infilo in stradine secondarie piene di buche, di calcinacci che si scrostano dalle pareti, di pacchetti di sigarette schiacciati a terra, depliant pubblicitari sbiaditi dal sole e qualche bottiglia rotta. Sono stradine strette dove si entra nella vita degli altri.
La porta di casa è una finestra e dentro si vede il letto non ancora rifatto, la caffettiera che sta andando, il bambino nudo che sta gattonando, la TV accesa su “Forum”. Cerco di muovermi con discrezione per non invadere la sfera personale delle persone ma, in realtà, nessuno di quelli che incontro è interessato a nascondere il proprio privato, quindi mi sento libera di scattare qualche fotografia.

Una signora in bigodini, vestaglia a fiori, ciabatte e gambaletti marroni, che fermano la circolazione del sangue all’altezza del polpaccio, sta spazzando davanti casa senza nessuna intenzione di raccogliere la sporcizia accumulata, ma semplicemente di spostarla ad altro numero civico.
Mentre mi guarda passare sembra che mi dica che ognuno è responsabile dello spazio davanti a sé, non dell’intera strada. Per quella ci deve pensare il comune. Una bambina sta sistemando della biancheria intima su uno stendino di plastica cantando una canzone neo melodica e ripassando gli ultimi passi di danza presentati nella puntata di “Amici”. Credo che abbia intenzione di fare il provino per il casting appena avrà compiuto 16 anni. Un signore sdentato, poi, sta portando il suo cane a fare la pipì in un punto dove potrà eventualmente lasciare indisturbata anche la cacca, se proprio gli dovesse scappare pure quella.

Nessuno sembra preoccupato di un mio eventuale giudizio morale. Nessuno sembra provare disagio per non avere i capelli a posto, per non indossare il giusto outfit, per non rispettare minime regole civili. Nessuno si aspetta un commento.
Sembra di vivere in un’era pre-social, pre-influencer, pre-filtri… Ognuno è certo di stare facendo esattamente la cosa giusta senza sentire il bisogno di alterare la realtà. Un’epoca maya?
Non riesco ancora a decidere se la ritengo una cosa positiva o negativa. Nessuno di quelli che ho incontrato ha, però, sentito la necessità di essere altro come, invece, capita a me quotidianamente.

E’ già da due ore che passeggio. Ne mancano altre due per l’intervista. Forse è il caso che mi fermi e ripassi gli appunti sulle specificità dei prodotti locali dell’Alto Tavoliere.

Mi siedo in una pasticceria davanti ad un vecchio ospedale. Mi accomodo ad un tavolino davanti ad una grande vetrata così posso continuare le mie riflessioni sul perché sto scrivendo un pezzo per una rivista gastronomica. Ordino un caffè ed un dolce alla ricotta facendo finta di aspettare qualcuno, visto che ho notato una punta di incredulità quando ho accennato al cameriere che ero da sola a fare colazione. Quindi parlo con un amico immaginario al telefono, affermando che sì, lo aspetterò lì in quel bar, ed intanto, per far passare il tempo comincio a seguire i lenti movimenti di un uomo dall’altra parte della strada.
E’ appena uscito dall’ospedale vecchio.
Si mette ad aspettare in piedi vicino al parcheggio per disabili.
E’ incerto sull’andatura, sembra fortemente provato. Si appoggia al palo segnaletico, si accende una sigaretta e aspetta.
Indossa una coppola grigia ed un paio di occhiali scuri. Tossisce ripetutamente. All’improvviso comincia a salirmi un fuoco dallo stomaco ed il battito cardiaco accelera.
Lo fisso più intensamente.
Ma è veramente lui?
Fatico a crederci. Sposto la sedia e mi sporgo di più verso la vetrata.
Sembra proprio lui. Ma sì! E’ lui.
Cosa faccio adesso?
Dovrei avvisare qualcuno?
Sono quindici anni che lo stanno cercando. Mafia garganica.
Ci potrei vincere un premio di giornalismo se facessi uscire la notizia.
Prendo la macchina fotografica e comincio a scattare qualche foto.
Ma chi dovrei chiamare?
Perché nemmeno lui si sente in dovere di nascondersi?
Che cos’ha questa città da garantirti il lusso di essere sfacciatamente te stesso, sia che tu sia una dottoressa in bigodini che un criminale ricercato?
Solo io so esattamente chi è quella persona?
La gente gli passa davanti come se fosse un normale cittadino. Sono confusa. Gli si accosta una macchina e quell’uomo sale a fatica sul posto passeggeri. Mi affretto a scrivere il numero della targa sulla salvietta del pasticcino.
Lo accartoccio e me lo infilo in tasca.
Che conseguenza potrebbe avere nella mia vita, sulla mia carriera, avvisare la polizia di questa presenza?
Devo riflettere.
E’ quasi ora della mia intervista. Raggiungo il teatro; non è lontano da qui. L’appuntamento è vicino all’edicola.
Alle dodici in punto, si presenta un giovane ragazzo sulla trentina. Ben vestito e dai modi gentili.
L’ho osservato mentre parcheggiava.
E’ sceso dalla stessa macchina che poco prima ha caricato il latitante.
“Buongiorno, sono Michele”.
“Piacere, Angela”.
“Allora, le piace San Severo?”
Sorrido ironica.
“È la città perfetta per essere se stessi”.


Racconto di Anonima/o inviato a Storie in Blues 2022/23.


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