Sanseveresi

Un progetto fotografico di Cosimo di Pierro.

Cosimo descrive così il progetto: “Un po’ per hobby, un po’ per voglia di raccontare, da alcuni anni fotografo gli abitanti della mia città per strada, in modo del tutto casuale e spontaneo. Voglio dimostrare come ogni volto sia particolare e bello a modo suo.”

SANSEVERESI è un progetto in corso. Cosimo ha intenzione di trarne una mostra con il relativo catalogo, un giorno.

I sanseveresi, io

di tommileo.com

Io i sanseveresi li ho detestati a lungo. A San Severo ci sono nato e cresciuto, ma i sanseveresi mi facevano schifo. Non tutti, ma quasi. Odiavo la sguaiataggine, il vocio inarrestabile, le voci e le urla, Il chiasso continuo, le macchine dappertutto e le macchine con gli stereo a palla, le moto truccate alle tre di notte, gli allarmi che suonano a vuoto. Odiavo la classe dirigente cessa, la folla di avvocati, i pitbull per strada. Odiavo il costante cercare di fregarsi a vicenda, i prezzi che cambiano a seconda della faccia, le strette di mano davanti e dietro invece, chissà. L’attaccarsi alle cazzate per litigare sempre. Il parlare sempre in prima persona, io di qua e io di là, io ho fatto io ho detto. Facevo lo stesso anch’io ma non lo sapevo. Facevo il superiore. Mi stavano sul cazzo i sanseveresi, ma non mi ci mettevo in mezzo. Ero un alieno nel mio stesso paese. 
Appena ho potuto me ne sono andato, e vaffanculo San Severo. Via per degli anni, senza la sguaiataggine, senza il chiasso, la spazzatura, il fregarsi a vicenda.
Via per degli anni, e però pure senza quel mai prendersi veramente sul serio, senza lo stare insieme senza motivo, senza l’amico improvviso, l’abbraccio inaspettato, senza le battute feroci che solo a San Severo, senza le tavolate infinite dove il tempo è un concetto boh, e dopo l’amico che ti accompagna fino sotto casa alle 2 di notte perché deve dirti ancora una cosa, una cazzata che poteva aspettare, ma no, doveva dirtela subito.

Per decine intere di anni – a volte chiudevo gli occhi e mi guardavo di spalle, arrampicarmi sulla Scenta delle Monache e attraversare Piazza Municipio e scendere in Via Soccorso e alzare gli occhi al cielo e il cielo era sempre più blu; blu da far male, come un arto fantasma che prude anche se ormai ciao.

E poi? Poi me ne sono rimasto ben lontano, anzi mi sono spostato di qua e di là e su e giù ma quando sono ripassato a San Severo, ecco c’erano i vecchi, solo vecchi. Vecchi dietro alle finestre e vecchi che camminano a fatica lungo i marciapiedi stretti, rotti, ingombri di macchine e sacchetti bianchi rosa blu e gialli di immondizia. Vecchi nei bar, vecchi che urlano al cimitero, vecchi nei supermercati che contano gli spicci e vecchi che mi guardano chiedendosi a chi so’ figlio, anzi a chi so’ padre. Ormai sono vecchio anch’io e non me n’ero accorto.

Mi sono fermato in Piazza Incoronazione, la piazza era diversa ma c’era un bar che si chiamava come prima. Ho guardato le facce invecchiate, le facciate tutte sbrecciate dei palazzi, i negozi spariti. Il mare di macchine, i sanseveresi rinchiusi dentro, inscatolati e incarogniti gli uni con gli altri. 

E poi un giorno vedo i SANSEVERESI di Cosimo. 
Foto così, mai nessuno prima.
Secondo me. 
Guardo le sue foto e vedo facce, rughe, occhi, mani, gesti che parlano più di mille bestemmie, di mille preghiere. Sono le foto di tutti quelli che hanno provato a scappare da sé stessi, solo per scoprire che la valigia più pesante è quella che non si può lasciare a casa; guardo le foto e capisco solo ora che odiare San Severo è stato come odiare me stesso.

A distanza di settimane, guardo ancora, e nelle stesse foto vedo anche altro. Vedo la stessa sguaiataggine che odiavo ma che altrove chiamano “autenticità”, vedo quel mai prendersi sul serio che è l’antidoto al mondo che si ammazza di stress per le cazzate. Sento quegli abbracci, all’improvviso, per strada, che curano la solitudine, quelle serate dove il tempo boh.

Vedo i sanseveresi che si alzano alle 5 per aprire il bar, che si spaccano la schiena nei campi, che tengono aperte le officine, gli avvocati e i professionisti che a volte ti aiutano gratis.

Però siamo tutti vecchi. Nei bar, per strada, al mercato. Vecchi che guardano altri vecchi e si chiedono dove sono finiti i giovani. Sono scappati, o escono solo di notte come pipistrelli.

Forse la salvezza arriverà dal Norico come San Severino, o più probabilmente arriverà dal mare, come la Madonna del Soccorso, dai ragazzi del Senegal che sfidano la morte prima sui barconi e poi sulle bici scassate lungo la Statale, e lavorano come schiavi e magari parlano tre lingue. Dalle famiglie del Bangladesh che aprono negozi quando noi li chiudiamo. Dai bambini che nascono qui e crescono sanseveresi ma con i cognomi che non sappiamo pronunciare. Magari San Severo si salva diventando altro.

Guardo le foto e capisco che questo posto ha bisogno che qualcuno torni. O che qualcuno arrivi.

Ecco San Severo come non l’avete mai vista davvero.

Ecco SANSEVERESI. Guardateli bene. Siamo noi.


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